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Maria d’Enghien, la contessa femminista di Lecce

Maria d’Enghien, la contessa femminista di Lecce

La vita di Maria d’Enghien racconta un’insolita esperienza di coraggio, libertà ed emancipazione di una donna meridionale che governò il capoluogo salentino nel Tardo Medioevo.

 

La storia di Maria d’Enghien da Lecce a Napoli

 

Donna dalla personalità eclettica e di una bellezza indiscutibile, Maria era bionda con la carnagione chiara, ma la sua compostezza medievale già si proiettava oltre i canoni imposti dal suo tempo, e piuttosto manifestava un’inclinazione timidamente rinascimentale.

 

Nata nel 1367, Maria divenne contessa di Lecce da giovanissima, alla morte improvvisa del fratello Pietro privo di eredi. I suoi genitori, Giovanni d’Enghien e Sancia Del Balzo, detenevano il potere sui territori di Lecce e Andria, ma le scelte politiche della donna le permisero col tempo di esercitare la sua influenza su un territorio sempre più ampio.

 

Divenne principessa di Taranto grazie al matrimonio con Raimondello Orsini del Balzo, che governava su alcuni territori del Salento, e fu in seguito Regina di Napoli fino alla morte del secondo marito Ladislao I d’Angiò-Durazzo.

 

Coraggio e responsabilità:

“non me ne curo, ché se moro, moro da regina”

 

Il secondo matrimonio fu per Maria d’Enghien una scelta strategica, spinta, alla morte del primo marito, dalle incalzanti esigenze militari.

 

Ladislao I d’Ungheria, re di Napoli, era intenzionato ad ampliare i suoi possedimenti conquistando i feudi della contessa. Gli scontri militari furono impegnativi e la temeraria Maria, da vera e propria eroina, indossò l’armatura per supportare in prima linea il suo esercito e infondere coraggio tra le fila dei suoi soldati.

 

Dovette cedere al matrimonio con Ladislao I, quando si accorse che questa scelta avrebbe rappresentato la soluzione per preservare i popoli dei suoi territori. Ciò però era al tempo stesso una possibile minaccia per la sua vita.

 

Il re di Napoli era infatti noto per le sue doti da grande amatore ed era solito ospitare a palazzo piacenti dame, ma soprattutto le ultime sue due mogli avevano perso la vita in circostanze poco chiare. Maria, però, non si lasciò impaurire e decise di affrontare le nuove nozze, pronunciando con franchezza la celebre frase “non me ne curo, ché se moro, moro da regina”.

 

Durante il secondo matrimonio Maria d’Enghien si dedicò alle correnti artistiche del suo tempo, invitando a corte rinomati artisti napoletani dell’epoca che la definirono una mecenate a tutti gli effetti.

 

Maria D’Enghien: la nuova luce per la città di Lecce

 

Alla morte di Ladislao I, Maria d’Enghien tornò a regnare a Lecce e trascorse gli ultimi anni della sua vita nella Torre di Belloluogo, uno tra gli insoliti esempi di architettura medievale nel cuore della città barocca.

 

Grazie al suo contributo, il feudo di Lecce iniziò a splendere e divenne una città aperta al mondo, nuovo simbolo culturale d’Italia. Maria apportò una vera e propria politica di welfare per i leccesi, arricchendo la città di importanti testimonianze artistiche e istituendo un codice degli usi municipali di Lecce, unico nel sud Italia.

 

Alla sua morte, avvenuta nel 1446, la contessa venne sepolta presso il Monastero di Santa Croce a Lecce, ma ad oggi non è possibile porgere un fiore sulla sua tomba, poiché la struttura venne distrutta e la sua sepoltura perduta in seguito ai lavori di rifacimento del Castello Carlo V.

 

La contessa emancipata dal Medioevo ad oggi

 

Nel Medioevo, troppo trasgressivo veniva considerato il profilo di questa donna, tradizionalmente madre e moglie ligia al dovere, ma al tempo stesso regina, guerriera, mecenate e abile diplomatica.

 

Ad oggi Maria d’Enghien può essere considerata un modello femminista più che mai attuale a cui ispirarsi.

 

Forse inconsapevolmente la contessa di Lecce si è resa promotrice dell’uguaglianza di genere, assolutamente straordinaria per un periodo come il Medioevo in cui le donne venivano ritenute deboli e moralmente fragili.

Maria d’Enghien dimostrò invece una fermezza d’animo unica nel suo genere, diventando una delle donne più emancipate della storia medievale salentina e del Sud Italia.

 

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